Associazione Italiana Sommeliers Delegazione di Cremona |
Una serata con ilVerdicchio di Villa Bucci29 Gennaio 2003 |
Hotel Ponte di Rialto - Crema
L'incredibile longevità del Verdicchio: verticale del Villa Bucci riserva
Una verticale di Verdicchio dei Castelli di Jesi non è roba da tutti i giorni, e l'evento svoltosi mercoledì 29 gennaio a Crema presso l'Hotel Ponte Rialto, organizzato dalla delegazione AIS di Cremona, è qualcosa che meriterebbe una pubblicità adeguata presso i consumatori, nei quali, a maggioranza, la mentalità del bianco d'annata ancora domina la scena.
Un evento così avrebbe anche bisogno di un commentatore adeguato, anziché dell'algido sommelier che da guida per l'inesperto si trasforma spesso in sacerdote di un culto per iniziati, e dovrebbe avere il volto simpatico ed il vocabolario chiaro di Luca Bandirali, che ha condotto la degustazione insieme a Delfina Piana, quest'ultima vivace delegato provinciale AIS.
Due parole sull'organizzazione, anzi una: esemplare. Grande efficienza, spazio per persona adeguato e una sala gremita da un centinaio di appassionati hanno fatto da cornice alla presentazione di cinque annate del Verdicchio Castelli di Jesi DOC Riserva Villa Bucci, vino prodotto dall'azienda marchigiana Bucci. L'evento è stato impreziosito dalla presenza del titolare Ampelio Bucci, persona simpatica e disponibile che, con grande naturalezza, ha raccontato la sua esperienza ai presenti.
Il Verdicchio,
si sa, è un vino che ha avuto una storia particolare: la famosa bottiglia
a forma di anfora contenente un vinello con la consistenza di una bibita ha girato
il mondo e ha fatto all'immagine del vino seri danni, ai quali, solo negli ultimi
anni, e grazie a poche aziende serie, si sta ponendo rimedio.
Bucci ha scommesso
molto sul Verdicchio, ispirandosi a ciò che ha imparato girando la Borgogna.
Dai viaggi ha portato a casa l'idea di fare, con la preziosa collaborazione del
suo geniale enologo consulente Giorgio Grai, un vino elegante, ma che non snaturasse
le caratteristiche del vitigno.
Poiché il vino nasce in vigna, Bucci ha applicato le colture biologiche, "non vincenti a livello di marketing, ma che fanno vivere meglio la piante", e abbassato le rese, "ammaestrando" piante abituate a produrre 180 quintali per ettaro e fare qualità. Le vigne sono cinque, un modo, questo, che permette tra l'altro di difendersi dai danni delle grandinate, e vengono vinificate separatamente. Successivamente si procede all'assemblaggio, "fatto con il naso e la bocca", dal quale nascono la versione base e la Riserva, quest'ultima non prodotta tutti gli anni, ma che, quando prodotta, deve avere la sua personalità.
La personalità nel vino è un valore importante per Bucci, che ha rifiutato con fermezza la facile strada dell'omologazione e dei tecnicismi spinti. Cantina non refrigerata, fermentazione malolattica naturale e affinamento della Riserva in botti grandi vecchie di 50 anni, il cui unico scopo consiste nel fare da vasi vinari per microssigenare il vino, fanno parte del suo essere in contro tendenza e del suo interpretare il vino come prodotto artigianale, "ma non vino del contadino aspro e duro". Parole come enzimi e barrique sono ovviamente bandite, perché secondo Bucci banalizzano i vini, "e fare così non è neanche divertente" ha detto, concludendo che "magari viene più buono, ma non c'è gusto", perché il vino non è aritmetica.
Differenziare il proprio vino ha per Bucci una doppia valenza: avere una propria nicchia di prodotto, "perché è inutile fare quello che altri già fanno" e premiare chi apprezza la diversità perché, ha detto a Cremona, "ci sarà sempre qualcuno nel mondo, nonostante tutto, che vuole qualcosa di diverso". Una ventata d'ottimismo, in un mondo dominato da apocalittiche visioni globalizzate, che fa bene a tutti, ma anche una lucida visione di ciò che si dovrebbe fare.
La filosofia
di Ampelio Bucci è questa, un vino a misura d'uomo. E dopo le parole è
stata la volta dei vini, di cinque annate ed esattamente 1998, 1997, 1994, 1992,
1988.
Una considerazione generale è che tutti i vini si sono dimostrati
integri, bevibili, equilibrati e d'ottima persistenza gustativa. Le note d'idrocarburi,
riscontrate a partire dal 1994, sono emerse nette e del tutto sorprendenti. Il
1988, pur essendo ancora integro, ha iniziato a mostrare qualche segno di stanchezza
sul fronte olfattivo.
L'obiettivo
di Bucci, vale a dire finezza ed eleganza, si è riscontrato in tutti i
vini assaggiati: la lezione di Borgogna è quindi stata ben recepita. Per
finire, un breve riassunto della verticale:
1998, un vino potente per certi
versi, ma le grandi concentrazioni imbevibili sono altra cosa. Belle sensazioni
minerali e piacevoli note agrumate.
1997, il mio preferito: bevibile, complesso ed elegante. Più fresco del
1998, ricco di frutta esotica, fieno ed erbe aromatiche, con un finale amarognolo
più marcato rispetto al 1998.
1994, ancora in grande forma: otto anni
ma non li dimostra, dorato nel colore e di grande limpidezza e brillantezza. La
frutta esotica del 1997 è diventata sciroppata, ritorna la buccia d'arancia
del 1998, appaiono note d'idrocarburi. Completato da una gustosa sensazione minerale.
1992, il più elegante: dieci anni trascorsi bene per questo vino che ha
ancora sentori di frutta, che vira verso note balsamiche e di gomma e dispiega
le stesse note d'idrocarburi del 1994. La bocca, inutile dirlo, è sempre
perfetta.
1988, il "fantavino": tra note canforate e di dattero,
in bocca è ancora perfetto, fresco e sapido. Il colore è uguale
a quello del 1998.
Un risultato che sorprende anche Ampelio Bucci che ha così commentato : "l'evoluzione di questo vino è misteriosa".
Riccardo
Modesti
rmodesti@winereport.com