Associazione Italiana Sommeliers Delegazione di Cremona |
DEGUSTAZIONE: |
Il 3 maggio scorso, la Delegazione di Cremona
dell'Associazione Italiana Sommelier, ha incontrato Andrea Franchetti.
E
qui, ai più, sorge spontanea una domanda: chi è?
È
sufficiente però citare il nome del vino di punta della sua produzione
per rispondere alla domanda: Tenuta di Trinoro.
Sì,
lui è il papà, il creatore di questo vino.
Un
caso unico, nel nostro panorama enologico, un vino che ha raccolto forse più
consensi oltralpe che non nella "nobil patria natia".
Andrea
Franchetti, enologicamente parlando, nasce nel 1992 in Val d'Orcia.
Come
lui stesso afferma, in quegli anni non era difficile fare qualche buon affare.
Fu
cosi che, "fulminato dal posto", lui, romano di origine, acquista per
"quattro soldi" un cascinale diroccato, cinquanta ettari di terra e
comincia la sua avventura.
Forte
di alcune radicate convinzioni e di quanto appreso da alcuni amici nella zona
del bordeaux, comincia dal vigneto.
Rese
bassissime, 5 grappoli a pianta (300-400 grammi di uva) e una vendemmia attenta
cogliere il grado di maturazione desiderato.
La
scelta dei vitigni è, come emerge dai suoi discorsi, un fatto emozionale.
Esce
dalle correnti che prediligono l'utilizzo di vitigni internazionali, oppure quelle
che prediligono quelli autoctoni.
Per
lui quello che conta è il risultato finale, il vino, che deve essere buono.
E
anche quando sceglie i vitigni "internazionali", lo fa perché
gli offrono quel prodotto di qualità che lo emoziona.
Contesta
altresì che sia solamente il vitigno autoctono a rappresentare un territorio.
In
ogni caso apprendiamo che le sue scelte su tale tema, sono state più istintive
che razionali.
Come possiamo
anche verificare dai prodotti dell'azienda, i suoi cavalli di battaglia, sono
il cabernet franc e il cesanese d'Affile.
Lo
è soprattutto quest'ultimo, di origine incerta, ma presente nel Lazio fin
dal 1700.
Quasi dimenticato
dai più e ormai quasi scomparso, è stato, possiamo ben dirlo, reinventato
da Andrea Franchetti che è diventato un punto di riferimento per chi volesse
cimentarsi nella sua coltivazione.
In
cantina troviamo grande cura, attenzione e pulizia, ma non ipertecnologia: quest'ultima,
secondo Andrea Franchetti, non serve a nulla, se non a fare grandi volumi.
Anche
il controllo delle temperature lo ritiene utile solo per una corretta partenza
della fermentazione che deve essere parossistica e vigorosa.
Per
la fermentazione si affida esclusivamente a lieviti indigeni selezionati.
Ogni
anno vengono effettuate circa 40 fermentazioni diverse.
In
pratica nascono circa quaranta vini diversi.
Solo
i migliori, debitamente assemblati, confluiscono nel prodotto di punta dell'azienda.
Dal
resto nascono "Le Cupole".
A
questo punto assaggiamo, questi vini.
Il
primo ad essere servito è stato Le Cupole 2003 IGT Rosso Toscana.
Questo
che, come già accennato, è in pratica il secondo vino, si presenta
con un assemblaggio quantomeno insolito: 43% di cabernet franc, 36% di merlot,
12% di cabernet sauvignon e una piccola percentuale di uva di Troia e cesanese
d'Affile.
Dichiara il
13,5% di gradazione alcolica.
Transita
per un breve periodo, sei, sette mesi in barriques, quindi completa l'affinamento
in botti grandi.
Andrea
Franchetti ritiene così di aver trovato il giusto equilibrio che non alteri
i caratteri organolettici del vino.
Al
naso si propone accattivante, fiorito, con gradevoli sentori di frutta, ciliegia
soprattutto, e un accenno di foglie secche e sottobosco.
Analoghi
sentori in bocca dove una buona freschezza e una buona tannicità lasciano
intravedere buone possibilità di evoluzione.
Passiamo
quindi al 2000. Qui la presenza del cabernet franc è ancora più
accentuata (arriviamo al 78%).
La
surmaturazione delle uve amplifica e uniforma le sensazioni gusto-olfattive già
riscontrate nella precedente annata in degustazione, a cui si aggiungono una maggiore
concentrazione e potenza. Qui abbiamo la dimostrazione dei grandi risultati che
si possono ottenere con un uso molto equilibrato della barrique.
Il
quinto vino in degustazione è un anteprima ancora incompiuta: il Tenuta
di Trinoro 2004.
Appositamente
imbottigliato per l'occasione, ma non ancora in commercio, porta nella sua carta
d'identità una predominanza di merlot.
Le
uve, anche in questo caso, leggermente surmaturate ci regalano su tutto delle
piacevoli note balsamiche.
Il
2003 di Tenuta di Trinoro, sesto vino della serata, esplode imponente, grasso
e quasi ridondante nella sua opulenza. Qui è netta la predominanza del
cabernet sauvignon (42%) e del cabernet franc (37%). Ha grado alcolometrico importante:
14,5%. L'aspetto più sorprendente di questo vino è come, pur giovane
e con dei caratteri tali da potergli consentire una eccellente tenuta nel tempo,
ci regali già ora splendidi bagliori di maturità.
E
infine passiamo a quello che per la sua particolarità, possiamo considerare
il gioiello di famiglia: il Cincinnato 2003 IGT Rosso Toscana.
Lasciato
per ultimo, tra i vini in degustazione, veste amabilmente, quasi come se fossimo
ad un pranzo, i panni del dessert.
E
del dessert ha i profumi, gli aromi: canditi, arancia, marzapane, profumi e sapori
esotici.
La sua particolarità
comincia dall'uva con il quale è prodotto: il cesanese d'Affile.
Il
terreno, le rese come sempre bassissime e una surmaturazione delle uve (la vendemmia
è a novembre) fanno il resto.
Imponente
con il suo 14,5% di gradazione alcolica, raffinato nei profumi e negli aromi,
è sicuramente un vino inconsueto sia per la zona dove viene prodotto (la
val d'Orcia quasi a confini con l'Umbria e il Lazio), patria del sangiovese e
dei supertuscans, sia per i caratteri organolettici che esprime.
È
un vino che ha davanti a se un roseo futuro. Per dirla come i francesi: chapeau.
Non
ci siamo dimenticati del terzo e del quarto vino in degustazione.
Li
abbiamo volutamente lasciati per ultimi, perchè con questi due vini scendiamo
in Sicilia e arriviamo alle pendici dell'Etna.
Stiamo
parlando del Passopisciaro, prodotto per la prima volta nel 2001 e del quale abbiamo
degustato le annate 2003 e 2002.
Il
nerello mascalese, vinificato in purezza, è coltivato ad un'altezza tra
i settecento e i millecento metri. Ci viene riferita la presenza di piante centenarie
ancora franche di piede.
Anche
qui ritroviamo le rese bassissime, riscontrate per il Tenuta di Trinoro e per
gli altri vini dell'azienda, e una vendemmia tardiva con surmaturazione delle
uve.
Dopo una macerazione
molto lunga, passa un primo periodo in barriques per poi proseguire l'affinamento
in botti grandi.
Al naso
si presenta ancora un po' chiuso con un leggero odore di cartone, poi piano piano
escono raffinate note di frutta sotto spirito e tabacco.
In
bocca è un susseguirsi di emozioni e il vino evolve ad ogni sorso.
Caldo
e avvolgente, fresco e morbido, fruttato e polposo, un attacco quasi dolce e soprattutto
trovano conferma le bellissime note di frutta sotto spirito e tabacco. Sicuramente
un grande vino.
E sicuramente grande è stata tutta serata. Splendida, un concentrato di emozioni per palati fini e un altro fiore all'occhiello per la nostra delegazione.
Marco Morlotti